giovedì 27 marzo 2014

Tre film (Kobayashi, Toyoda, Ōmori)

In questo periodo, purtroppo, ho poco tempo per scrivere di cinema, sia qui che su Sonatine. Ciò non significa che abbia smesso di vedere film. Così alterno J-horror raramente capaci di sorprendermi (per ora, tra quelli usciti dopo la metà dei Duemila, direi che emergono solo Noroi Occult di Shiraishi Kōji) a qualcosa di diverso. Perché mi stanno bene i fenomeni interessanti più nell'insieme che per la qualità delle singole opere (tali sono appunto il filone ormai inaridito del J-Horror e il boom dei film tratti da manga, fatte ovviamente le dovute eccezioni), ma ogni tanto sento il bisogno di guardare altrove. Così ho recuperato tre film di altrettanti autori tra i più meritevoli di attenzione, nel panorama del cinema giapponese contemporaneo.

Il primo è Wakaranai: Where Are You? (2009) di Kobayashi Masahiro, una drammatica storia di perdita e abbandono (non solo da parte dei genitori, ma anche e soprattutto della società e delle istituzioni) che ha per protagonista un adolescente tanto fragile quanto determinato, lucidamente consapevole della propria condizione di orfano e reietto, e allo stesso tempo confuso e smarrito circa il proprio avvenire. La macchina da presa, manovrata a spalla, gli sta addosso inseguendolo mentre vaga qua e là guidato dall'istinto di sopravvivenza, per abbandonarlo anch'essa, infine, al proprio incerto destino. Un'inquadratura in particolare ho trovato struggente: quella in cui le sue mani afferrano quella della madre morta, con l'azzurro della barca da lui stesso dipinta a fare da sfondo.


L'isolamento dalla società (volontario, in questo caso) è anche il tema portante del secondo film visto: Monsters Club (2012) di Toyoda Toshiaki, autore che avevo trascurato dopo Pornostar e Blue Spring. Questa sua fatica recente, ambientata in una buia e solitaria baita di montagna immersa in un accecante paesaggio innevato, è chiaramente un film più maturo. In particolar modo ho trovato folgorante la parte iniziale, che prelude alla progressiva saturazione degli spazi da parte dei fantasmi che affollano la mente del protagonista. Un film che merita senz'altro una seconda visione, più approfondita. Nel frattempo, rimando alla scheda di Matteo Boscarol per Sonatine.

Il terzo è The Ravine of Goodbye (2013) di cui trovate una recensione di Dario Tomasi, sempre su Sonatine. Del regista Ōmori Tatsushi avevo visto in passato la sua opera d'esordio: il durissimo The Whispering of the Gods (2005). In questo suo ultimo lavoro i colpi allo stomaco sono assestati in maniera più sottile, ma giungono maggiormente in profondità. Storia di violenze, peccati originali e coppie alla deriva, The Ravine of Goodbye affronta il tema dello stupro in maniera né banale, né puramente decorativa, con esiti tutt'altro che consolatori come a un certo punto si sarebbe portati a pensare. Lo fa attraverso personaggi che mostrano nello sguardo le tracce indelebili dei traumi del passato, e che, pur gravati dal peso di dubbi cruciali, proseguono con ciò che resta delle proprie vite operando scelte difficili e dolorose.

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