giovedì 30 gennaio 2014

Girlfriend: Someone Please Stop the World (Hiroki Ryūichi, 2004)

Avendo scarsa memoria, di solito ho bisogno di segnarmi qualche appunto durante la visione di un film, per scriverne. Non sempre lo faccio, perché i film vorrei anche godermeli. Questo me lo sono goduto, quindi sarò breve.
Hiroki Ryūichi è uno dei nomi più interessanti del cinema giapponese degli anni Duemila, in particolare della prima metà del decennio. Di suo, sinora avevo solo visto Tōkyō gomi onna (Tokyo Trash Baby, 2000) e Vibrator (2003). Mi erano piaciuti entrambi, soprattutto il secondo (che, sorvolando su qualche inserto musicale così così, godeva di un soggetto piuttosto originale, di almeno una scena stupenda che ricordo ancora a distanza di dieci anni, nonché dell'ottima interpretazione di Terajima Shinobu). Per questo motivo, era da tempo che mi ripromettevo di approfondire la mia conoscenza di questo regista.
Dei tre visti sinora, forse Girlfriend è quello che mi è piaciuto di più. Un film asciutto ma per nulla arido, strutturato con una certa libertà e, per quanto si inserisca in un filone tematico (che però segue anche determinati canoni stilistici) che ha una certa ricorrenza nel cinema giapponese degli anni Duemila, mai scontatamente pruriginoso né sciattamente banale nel descrivere un legame di profonda intimità tra due giovani donne (a differenza di film assai più traballanti, nell'affrontare lo stesso tema, quali Love My Life di Kawano Kōji e Kakera: A Piece of Our Life di Andō Momoko). Un film che rivela una sorprendente sensibilità del regista nei confronti della sfera femminile, tanto che, banalizzando, diresti quasi che ci sia una donna dietro la macchina da presa (un'impressione che, a dire il vero, avevo già avuto con un'altra pellicola che legava i destini di ventenni animate da ambizioni diverse: Strawberry Shortcakes di Yamazaki Hitoshi). 

lunedì 27 gennaio 2014

Beautiful New Bay Area Project (Kurosawa Kiyoshi, 2013)

Lo scorso novembre è stata presentata al festival di Roma l'ultima fatica di Kurosawa Kiyoshi: Seventh Code (premio per la miglior regia). Per l'occasione, è stato anche proiettato questo cortometraggio, realizzato nell'ambito di un progetto a più mani che ha coinvolto altri registi asiatici. Ne ho scritto su Sonatine a questo indirizzo.
Il film potete vederlo per intero direttamente qui sotto (senza sottotitoli, ma quel poco che c'è da capire lo si può leggere nella sinossi della mia scheda.)



venerdì 24 gennaio 2014

Penance (Kurosawa Kiyoshi, 2012)

Ieri sera ho finito di vedere Penance (Shokuzai - The Atonement, 2012), la mini-serie televisiva realizzata da Kurosawa Kiyoshi a partire da un romanzo di Minato Kanae (di cui in Italia è stato pubblicato Confessione, dal quale Nakashima Tetsuya ha a sua volta tratto l'omonimo film uscito anche nelle nostre sale). Rimando allo speciale di Sonatine (su cui ogni singolo episodio è stato recensito singolarmente) per una lettura più approfondita.
La mia personale impressione è che, se nei primi quattro episodi Kurosawa torna alla grande su territori già affrontati una decina di anni prima in Seance (Kōrei, 2000), altra trasposizione televisiva, nell'ultimo si faccia troppo ingombrante la presenza del romanzo. Può darsi che gli interminabili dialoghi con il poliziotto, durante i quali la protagonista ci spiega per filo e per segno i fatti del passato che l'hanno condotta sino a quel punto (un intreccio peraltro poco plausibile, in cui la fanno da padrona il caso e alcuni colpi di scena non troppo ben orchestrati a livello di sceneggiatura), siano dovuti semplicemente a ragioni di chiarezza legate al format della serie TV e ai canoni del giallo. Fatto sta che ne risulta un certo effetto di ridondanza, rispetto a quanto Kurosawa già ci aveva, assai più sottilmente, suggerito nel corso degli episodi precedenti e all'inizio di questo stesso.
Il cinema di Kurosawa è sempre stato un cinema che portava in campo innanzitutto gli effetti degli eventi eclatanti che scuotono i suoi universi, tralasciandone deliberatamente le cause. Ed è per questo che il regista sembra decisamente più a suo agio nei primi quattro episodi, nel corso dei quali, con efficace parsimonia e più attraverso scelte di regia che non tramite i dialoghi, dà ampio spazio alle conseguenze del fatto traumatico sulle quattro bambine, ora adulte. A quel punto, dei motivi che hanno generato il folle e tragico episodio, non ci interessa più di tanto.
Per quanto mi riguarda, ho trovato particolarmente interessanti il primo e il quarto episodio. Il primo perché è forse quello più "kurosawiano". Viceversa, il quarto perché è quello che, almeno all'apparenza, si distanzia di più dal suo mondo (potrei sbagliarmi, ma credo che quella del quarto episodio sia la prima scena di sesso girata dal regista dopo i suoi due pink eiga degli esordi - almeno io non ne ricordo altre).

sabato 18 gennaio 2014

il blog riprende

I motivi della mia recente latitanza da questo blog sono sostanzialmente due.
Il primo è che ero già impegnato a scrivere un saggio sulla relazione che il cinema giapponese contemporaneo intreccia con il manga (il che spiega anche la natura di quasi tutti i film trattati su questo neonato blog). Tra quello (che dovrebbe uscire in primavera) e il lavoro, non mi restava più tempo per curare anche il blog. Nel prossimo post, magari, farò un breve excursus sulle opere più significative visionate nelle ultime settimane.
L'altro motivo è che Blogger ha magicamente deciso di formattare il mio ultimo post con sfondo bianco (vedremo come uscirà questo), ed essendo io informaticamente pigro, non avevo nessuna voglia di mettermi lì a risolvere il problema. Nei prossimi giorni cercherò di fare anche quello.
Quindi, insomma, la prossima settimana il blog riparte.

P.S.: Ah, questo post qui è venuto normale. Misteri di Blogger.
P.P.S.: Problema risolto.