venerdì 14 marzo 2014

J-Horror Theater

Nelle scorse settimane ho completato la visione del cosiddetto "J-Horror Theater", il progetto di sei film (pensato dallo storico produttore del genere Ichise Takashige - Ring, Dark Water, The Grudge) di cui Kaidan di Nakata Hideo, recensito poco più sotto, fa parte. Così, tanto per vedere cos'era stato combinato nel campo del J-Horror nel corso dell'ultimo decennio, dal momento che me ne ero quasi del tutto disinteressato dopo l'indigestione fatta in passato e, soprattutto, dopo i primi segnali che, già nei primi anni Duemila, lasciavano presagire l'inevitabile inaridirsi del filone. Poco alla volta scriverò delle singole recensioni per Sonatine. Per ora segnalo che qualche giorno fa è uscita quella di Premonition di Tsuruta Norio, regista che nel decennio scorso non si è particolarmente distinto, ma di cui ho recuperato con piacere e un po' di sorpresa alcuni dei lavori degli anni Novanta nel campo del V-Cinema - i tre Honto ni atta kowai hanashi  (1991-1992!) e Bōrei gakkyū (1996) - in ragione dei quali è giustamente considerato un pioniere del genere. Qui mi limito a un commento molto generico sull'operazione di Ichise in sé.
Il livello dei singoli film oscilla dal buono al discreto nei casi migliori, ovvero quelli dello stesso Kaidan a cui si aggiungono Retribution di Kurosawa Kiyoshi (che avevo visto all'epoca della sua uscita, ma che conto di riesaminare a breve) e Reincarnation di Shimizu Takashi. Nei casi peggiori, invece si passa dalla pur dignitosa mediocrità di Premonition all'irritante sciatteria di Infection, concludendo con il senso di rammarico per lo scadente  risultato di The Sylvian Experiments, girato dallo sceneggiatore di Ring e Dark Water Takahashi Hiroshi e senza dubbio il più velleitario dei sei.
Un progetto, come ho già scritto, realizzato fuori tempo massimo giusto per raccogliere quel che ancora restava da grattare dopo i sequel, i cloni, i remake, le contaminazioni intermediali e le varie emanazioni locali, asiatiche e internazionali. È abbastanza evidente che il senso dell'operazione era quello di sfruttare l'ondata di interesse per l'horror asiatico sollevatasi sotto la spinta dei remake hollwoodiani, per ribadire su scala internazionale la paternità del genere e chiudere così il cerchio. Idealmente, se ne fossero usciti dei capolavori alla Dark Water o Pulse, sarebbe stata la chiosa perfetta. Un modo pulito per riportare Sadako e compagnia bella a casa dopo il suo viaggio in giro per il mondo. Purtroppo i registi sembrano i primi a essere consci del fatto che, giunti a quel punto, il J-Horror non aveva più niente da dire, vista la poca convinzione che profondono nei rispettivi contributi. I quali, anche nei casi più riusciti, non raggiungono il livello delle loro opere precedenti. Insomma, esattamente la roba un po' forzata che ci si poteva aspettare da un progetto del genere. Il J-Horror era nato in seno a realtà minori e a basso budget come i film per la TV o per il mercato video: realtà produttive caratterizzate da un'agilità, da un'immediatezza e da una povertà di mezzi che erano esse stesse ingredienti essenziali della sua ricetta di successo. I progetti in grande stile, salvo eccezioni, forse non gli si addicono troppo.

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