lunedì 10 febbraio 2014

R100 (Matsumoto Hitoshi, 2013)

Siccome non riuscivo a dormire, ieri mattina ne ho approfittato per guardarmi un film che ero abbastanza smanioso di vedere, dal momento che l'autore, il celebre comico Matsumoto Hitoshi altrimenti noto come Matchan, è forse il regista giapponese che, negli ultimi anni, ha saputo sorprendermi maggiormente. Il film è R100, e ne trovate una recensione su Sonatine (a firma di Dario Tomasi). La quarta fatica di Matsumoto è ambientata nel mondo dei club sado-maso, ed è pertanto tematicamente assai distante dal precedente Saya-zamurai (che era un jidai-geki sui generis), ma si colloca in maniera perfettamente coerente rispetto al resto della sua filmografia, nel suo raccontare la storia di un antieroe triste, sfigato e bistrattato che, in un certo senso, si riscatta attraverso un quanto mai inconsueto percorso di "sublimazione". Anche questa volta, tale percorso si snoda lungo una serie di prove assurde e umiliazioni a cui il protagonista viene sottoposto. Inoltre, come avveniva in Symbol, la storia del protagonista è affiancata da un'altra vicenda che si dipana su un diverso livello narrativo (in Symbol era la storia del wrester messicano, qui quella del regista centenario a cui viene attribuita la paternità del girato, in una serie di scene che contrappuntano la visione del film commentandone ironicamente i contenuti). Rispetto agli altri lavori di Matsumoto, ho avuto l'impressione che, nel complesso, R100 manchi di coesione e di una direzione precisa, e che le trovate geniali del regista non sempre vengano sviluppate al meglio trovando una collocazione coerente e ben amalgamata all'interno del film, il che conferisce all'opera, soprattutto nella seconda parte, una certa frammentarietà e sconclusionatezza che solo parzialmente è giustificata dall'escamotage metacinematografico degli spezzoni di film visionati dalla commissione preposta a giudicare l'opera del centenario regista. C'è anche da dire che, in alcuni punti della seconda parte, si ha l'impressione che la pur sempre notevole verve pop, visionaria e surreale di Matsumoto si adagi su territori lievemente meno originali (in quanto già battuti da cineasti come Miike Takashi, Ishii Katsuhito, Sono Sion e Suzuki Matsuo) rispetto ai suoi standard. Ma sono difetti minimi, e basta la scena del rigo musicale ad attestare l'unicità della cifra stilistica del Matchan regista (nella speranza che questo genere di climax non diventi maniera) e la sua peculiarissima capacità di trascendere il semplice farsesco. In ogni caso, personalmente l'ho preferito a Saaya-zamurai, verso il quale forse nutrivo aspettative eccessive (contrariamente a questo film, da cui  invece temevo una delusione).

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