sabato 21 dicembre 2013

Cutie Honey (Anno Hideaki, 2004)


Altra trasposizione cinematografica di un manga, come anticipato un paio di post fa, è Cutie Honey (2004) di Anno Hideaki. In questo caso il legame con l'universo disegnato si fa più stretto e articolato rispetto a Crows Zero, in quanto a tradurre in film l'omonimo manga del celebre Nagai Gō (che compare in una scena) è un suo collega, ovvero un altro grande maestro, seppure di una generazione più giovane, del cinema d'animazione: Anno Hideaki, autore, tra le altre cose, della saga di Evangelion, della divertente serie animata Le situazioni di lui & lei, nonché di un altro film live action, Love & Pop (1998), e di un remake animato dello stesso Cutie Honey, realizzato parallelamente alla versione cinematografica.
Tralasciando il risultato in sé - un divertissement o poco più, spesso nemmeno così divertente - ho trovato Cutie Honey abbastanza interessante nel modo in cui rivolge il suo approccio postmodernista a un bagaglio di riferimento di stampo prettamente giapponese. Se guardando certi film di Miike possiamo tracciare dei paralleli col cinema di Tarantino e Rodriguez, e se lo stile barocco dei primi film di Nakashima Tetsuya, che molto attingono dal fumetto anche se non direttamente, non è poi così distante dalle atmosfere e dagli stratagemmi visivi de Il favoloso mondo di Amelie (Jean-Pierre Jeunet, 2001), Cutie Honey non trova altri termini di riferimento se non in seno alla cultura pop nazionale, presente e passata. La super-eroina cosplayer, i mostri da tokusatsu, il montaggio paratattico da serie animata, le corse filmate lateralmente come in un videogame a scorrimento orizzontale di primi anni Novanta, la suddivisione in scenette che ricorda il manga comico, le posture innaturali, statiche e caricaturali di personaggi fortemente tipizzati, la naturalezza con cui si fondono erotico e kawaii, le sequenze drammatiche dall'atmosfera sospesa e vagamente new age alla Evangelion, sul finale: tutto ciò concorre a plasmare un'opera che, per quanto puerile e fine a se stessa, gode, proprio in grazia della determinazione e della coerenza con cui aderisce, talvolta sperimentando, ai linguaggi mutuati da manga e anime, di una forte identità. I prestiti intermediali sono cosa piuttosto comune tra le varie forme di cultura pop del Giappone contemporaneo, ma qui l'operazione è condotta in maniera così massiccia e solerte da rendere Cutie Honey un caso, mi sembra, piuttosto singolare.

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