Kaidan (aka Apparition - Amare oltre la morte)
Nakata Hideo, 2007
Sceneggiatura: Okudera Satoko (da un racconto di Enchō San’yūtei); Fotografia: Hayashi Jun’ichirō; Suono: Nonaka Hidetoshi; Scenografie:
Taneda Yohei; Trucco: Matsui Yūichi; Effetti speciali: Sashiura Hidekazu; Montaggio: Takahashi Nobuyuki; Musiche: Kawai Kenji; Interpreti: Onoe Kikunosuke (Shinkichi),
Kuroki Hitomi (Oshiga), Inoue Mao (Ohisa), Asō
Kumiko (Osono); Produzione: Ichise
Takashige, Sakamoto Jun’ichi per Oz; Durata:
115’; Prima proiezione: 4 agosto
2007.
Soetsu, un agopuntore recatosi da un arrogante samurai per
riscuotere un debito, viene ucciso da questi con un fendente in pieno volto e
poi gettato in uno stagno su cui grava una maledizione. Invano le due figlie
dell’uomo, Oshiga e Osono, attenderanno il ritorno del padre, ma un destino ugualmente
tragico spetta al samurai, il quale impazzirà di lì a poco, facendo strage
della famiglia e lasciandosi dietro solo il figlio neonato: Shinkichi. Gli anni
trascorrono, e Shinkichi, trasferitosi nella capitale Edo e ora divenuto un bel
giovane, si innamora di Oshiga, inconsapevole della sua identità. La donna, anch’ella
ignara del fatto che Shinkichi sia figlio dell’assassino di suo padre, ricambia
presto il suo amore, ma mostra un attaccamento e una gelosia eccessivi nei suoi
confronti, tali da generare una piccola lite durante la quale lei, come già suo
padre, si ferisce inavvertitamente il volto. L’orrenda infezione che ne deriva
peggiora di giorno in giorno, finché la donna muore senza l’amato al suo
fianco: il ragazzo, infatti, sentendosi oppresso dalla malattia e dalla gelosia
di Oshiga, si trova in quel momento in compagnia della più giovane Ohisa. Per
quanto scosso dalla morte di Oshiga, che gli appare come fantasma e gli lascia
un minaccioso biglietto in cui lo intima di non sposare altre donne, Shinkichi
si decide lo stesso a partire con Ohisa verso il paese natio. Senonché, il
fantasma della defunta lo spinge, provocandogli un’allucinazione, a strangolare
la ragazza presso lo stesso stagno in cui era stato gettato Soetsu. Shinkichi
si salva e, col passare del tempo, si rifà una vita anche grazie all’aiuto
della ritrovata Osono, sposando infine un’altra donna e proponendosi di esserle
sempre fedele per espiare le proprie colpe passate. Ma i buoni propositi non
bastano, e la maledizione di Oshiga non abbandona l’uomo, il quale finirà
tragicamente, insieme alla moglie e alla figlia neonata, per poi
ricongiungersi, nella morte, all’amata di un tempo.
Il contributo di Nakata Hideo alla serie di sei film “J-Horror
Theatre” (ideata - a dire il vero un po’ in ritardo sui tempi - dal produttore
Ichise Takashige allo scopo di esportare sulla scena internazionale i nomi dei
principali artefici del J-Horror sfruttando la risonanza planetaria offerta dal
controverso fenomeno dei remake hollywoodiani),
è un rispettoso omaggio alle origini del suo cinema: la letteratura kaidan e il genere cinematografico che
ne è derivato, il quale ha conosciuto la sua epoca d’oro a cavallo tra gli anni
Cinquanta e i Sessanta, e ha trovato, incursioni d’autore a parte, in Nakagawa
Nobuo il suo esponente di maggior spicco. In anni nei quali appariva ormai
stagnante e ampiamente inflazionato il panorama del J-Horror, fenomeno cinematografico
fortemente caratterizzato da insistiti riferimenti a una contemporaneità che
prende forma nei suoi feticci tecnologici in continua evoluzione (videocassette,
internet, cellulari, fotografie digitali), l’operazione quasi filologica di
riscoperta delle sue radici operata da Nakata, che di tale fenomeno è stato uno
dei protagonisti indiscussi, non risulta affatto scontata e appare come un
sincero tentativo, per quanto non pienamente riuscito, di scrollarsi di dosso
il peso di cliché ormai triti e banalizzazioni varie per tornare alle illustri
origini del genere e ribadirne l’impronta autoctona. Nel riportare sugli
schermi il classico della letteratura kaidan
firmato da Enchō
San’yūtei, Kasane-ga-fuchi, già
tradotto innumerevoli volte per il cinema e la televisione (anche dallo stesso
Nakagawa, nel 1957), Nakata non si discosta quasi mai dai dettami di questo
peculiarissimo genere cinematografico intimamente legato alla letteratura del
periodo Edo e al teatro kabuki,
limitando a poche scene di terrore le concessioni all’horror moderno. Il
risultato è un film raffinato e suadente, forse ancor più vicino, nelle
atmosfere, al suo omonimo del 1964 diretto da Kobayashi Masaki. I movimenti di
camera lenti e avvolgenti (come le serpi che compaiono nel film, quasi a
ricordare una delle figure più note del kaidan:
la donna serpente), solo qua e là bruscamente interrotti da shock visivi e
sonori di più recente ispirazione, bene incarnano la miscela di melodramma
passionale, sottile inquietudine e opprimente fatalismo che caratterizzava il
cinema kaidan (e che Nakata ha poi
efficacemente tradotto al presente in uno dei suoi film migliori: Dark Water). Il personaggio di Shinkichi
in primis, interpretato dall’attore di kabuki
Onoe Kikunosuke, il cui trucco e la cui recitazione rimandano direttamente alle
forti influenze che questa forma di teatro esercitava sui jidai-geki del passato, contribuisce a donare a questo film un
aspetto fuori dal tempo. Un’operazione
forse fine a se stessa e che difficilmente scuoterà gli animi dello spettatore
di oggi (a eccezione della scena della neonata defunta, comunque di forte
impatto), ma non per questo priva di fascino.
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